L'AMORE MI DISSE CHI SONO
di Aeris-Rinoa
"Non sei mia figlia"; quelle atroci parole le rimbombavano nelle orecchie come
gong dal suono tagliente, che le laceravano l'anima. Piangeva, accasciata
sull'asfalto sporco, al buio, in quel vicolo. Aveva corso, ma non era servito a
nulla, non era riuscita a lasciarsi il dolore alle spalle. Sua madre era morta,
l'aveva abbandonata. E non sapeva chi fosse suo padre. Le lacrime le rigavano il
viso dalla pelle solitamente candida e vellutata, ora tutto rosso e contratto in
una smorfia di dolore. La Shinra la inseguiva per fare di lei una cavia, come
avevano fatto di sua madre. O almeno così era probabile fosse successo. Un uomo,
Vincent. Un Turk, aveva salvato sua madre, l'aveva aiutata, le aveva assicurato
la vita che aveva ora. Una vita serena accanto a persone che la amavano. Non
sarebbe rimasta lì, ad aspettare che i Turks la catturassero. Non aveva speranza
di vincere, né di scappare. Lo avrebbe trovato. E lo avrebbe portato con sè.
-Stai attenta, piccola mia- sua madre aveva gli occhi velati di lacrime, mentre
la salutava, dalla porta della piccola casa negli slums. Lei si volse dopo
averle fatto un cenno con la mano, e si incamminò, e non solo sulla strada per
le montagne, ma sulla strada del suo destino.
La città: ora la vedeva in tutti i suoi lati, da ogni punto. Sporca, nera,
violenta, inquinata. E la Shinra, dominava su tutto quel lerciume, come la cima
di un cumulo di rifiuti, fonte di tutta la corruzione che permeava quelle strade
sporche, la vita di quelle persone disperate, che mentre passava la guardavano
con occhi sbarrati, indolenti, tristi, disperati, o con la candida innocenza dei
bambini. Tutte quelle persone, in quelle condizioni miserevoli, tutto per colpa
della Shinra. Le montava dentro un grande dolore, e la determinazione cresceva,
e accelerava il passo, per arrivare prima. Passava in mezzo a quel grigio, e
tutto le scorreva accanto velocemente, non guardava, pensava solo al suo futuro,
a quello che avrebbe fatto, a cosa sarebbe successo. Gli occhi verdi brillavano
di determinazione, e il passo lo dimostrava. Entro breve fu fuori, si addentrò
nell'erba alta delle pianure fuori da Midgar, e si diresse verso i monti a sud
della città, per valicarli e arrivare a Junon. Quando arrivò ai piedi della
catena montuosa era già molto stanca, ma continuò, e il tramonto la sorprese in
cima al rilievo, proprio in mezzo al passo. Si fermò a guardare il tramonto
rosso, che sembrava minacciarla da lontano, squadrarla con occhi ostili. Aveva
paura. Era sola, alla ricerca di non si sa chi. Avrebbe potuto non farcela. Ma
non avrebbe potuto vivere una vita degna di questo nome se non avesse scoperto
la verità. Sarebbe morta nei laboratori della Shinra, senza nemmeno sapere il
motivo per cui ci era finita. Scacciando questi pensieri si guardò attorno: lì
accanto c'era una caverna, così vi si fermò per la notte.
L'indomani, quando l'alba la svegliò con i suoi raggi color pesca, si alzò e
proseguì, ma per molti giorni non vide segnò di città. Pensava, pensava,
pensava. A sua madre, a quell'uomo, e le sembrava senza senso camminare, al
caldo, al freddo, di giorno, di notte, per conoscere cose così remote. Le
sembrava impossibile. Ma continuava stancamente a mettere un piede davanti
all'altro, fino a che non le facevano tanto male da non poter andare oltre. E
passavano i giorni e le miglia. Quando finalmente arrivò a Junon era ormai
passata più di una settimana, che aveva passato camminando tra le colline ai
piedi delle montagne, e fu davvero felice di poter dormire in un letto degno di
questo nome. Non appena si fu distesa si addormentò, senza nemmeno avere la
testa sul cuscino.
La mattina dopo si alzò presto, e per il tramonto fu al porto; prese la nave per
Costa del Sol. La nave arrivò a destinazione cinque giorni dopo, e una volta
scesa si sedette con aria affranta sulla sabbia, poggiò la testa sulle ginocchia
unite, e si rilassò: il mare mandava bagliori così luminosi da accecarla, e
costringerla a stringere gli occhi e coprirli con una mano. Così luminoso e
sconfinato... Si chiedeva fin dove sarebbe dovuta arrivare. Era così lontana da
casa, non conosceva nulla di quel luogo, non sapeva come comportarsi, aveva
semplicemente fatto quello che le sembrava l'unica alternativa possibile. Un
mare così blu... Così triste. Si chiese cosa stava facendo. Cerava qualcuno che
forse nemmeno esisteva. Fin dove aveva intenzione di arrivare, in questa
disperata cerca della verità? Verità...le sembrava così effimera, come la
polvere delle ali di una farfalla. Si allontanava da lei, piano ma
costantemente, e lei, per quanto corresse, non poteva fare a meno di sentisela
sfuggirle dalle mani. Sempre che l'avesse mai avuta nelle sue mani. Magari non
era mai riuscita nemmeno a sfiorarla. Come erano le ali della verità? Velenose,
taglienti e macchiate di sangue. Non si sentiva forte, non si sentiva capace, né
determinata a sufficienza. Non era sicura di nulla, solo che non poteva mollare,
non ancora. Doveva scoprire cosa era successo davvero, o morire nel tentativo.
Ne era certa: Nibelheim era la chiave di tutto. La Shinra Mansion, il primo
reattore...Era lì che doveva cercare. Voleva sapere tutto, della Shinra, di sua
madre...di sé stessa. Non sapeva chi era, né qual era il suo posto in questo
mondo...Non sapeva più nemmeno se era un essere umano. E chissà se l'avrebbe mai
saputo...Scosse la testa, riscuotendosi. Non poteva abbandonarsi a simili
pensieri, non in quel momento, non ora che era riuscita ad arrivare così
lontano. Mancava poco. Si rialzò, e prese a camminare di buon passo, determinata
come non mai, Nibelheim nei suoi pensieri.
Si accasciò in ginocchio, a terra, sul lastricato che conduceva all'ingresso
dell'enorme villa in rovina. Piegata in due dalla corsa su per il sentiero, le
sembrava che i polmoni le stessero per scoppiare. Era arrivata, ci era riuscita.
Eppure, quella porta di legno marcio, quella era la vera soglia del suo destino.
Poteva ancora tornare indietro. Ma non lo avrebbe mai fatto, nemmeno se ad
attenderla ci fosse stata la morte. Una volta che si fu ripresa si alzò, buttò
giù con un calcio il legno putrescente del vecchio portone ed entrò: la polvere
copriva tutto con la sua coltre di oblio. Quello era un luogo dimenticato, e in
qualche modo le sembrava che volesse rimanerlo, come se avesse una volontà
propria. Ovunque mobili frantumati, schegge, frammenti, pezzi, rottami, avvolti
dall'oscura dimenticanza, coperti dalla polvere ed emananti una sorta di aura
negativa, che la faceva rabbrividire. Le sentiva, grida, provenire da una stanza
al piano di sopra. Grida sofferenti, di persone torturate, urla atroci, pianti
di anime che soffrivano e che diventavano lentamente abomini mostruosi. Si
sentiva piccola, ma qualcosa la attirava in quella stanza. Salì le scale,
nonostante il pericolo, nonostante la paura, nonostante il buon senso le dicesse
di darsela a gambe e di prendere il primo mezzo di trasporto per la costa in
qualunque modo. Entrò nella stanza, ma era solo una stanza vuota, che non
sembrava aver mai contenuto nulla. Evidentemente la mente le giocava brutti
scherzi. Doveva calmarsi, o sarebbe impazzita prima di arrivare a ispezionare la
casa. Ma poi... il pianto di un bambino. Un pianto che chiedeva attenzione, un
pianto di dolore, di solitudine. Un'anima sola che non conosceva il suo posto
nel mondo, come lei. Ma da dove proveniva? Destra...Si volse, solo perché il suo
sguardo incontrasse un solido muro. Non potevano che essere allucinazioni. Ma
quando fece per andarsene il pianto si fece più forte, le grida ripresero,
assordandola, a cadde in ginocchio a terra, tappandosi le orecchie con le mani.
'Aiutaci...Svela la verità, rendi giustizia alla nostra sofferenza!'
'Punisci le persone cattive che mi hanno fatto male'
Era così terribile...Tutta la loro sofferenza, le gridava da dentro, dai muri,
dal pavimento... Ma poi se ne rese conto: il muro nascondeva qualcosa. Le grida
continuavano, e stavolta era chiaro, passavano attraverso il muro, da molti
piani più sotto. Prese a tastare freneticamente la parete, le urla la facevano
impazzire, e alla fine la sua mano incontrò una leggera rientranza di forma
quadrata. Affondò le dita, e udì uno scatto: il muro si spostò lentamente, per
portare alla luce un enorme scala di legno, lunga e stretta, che scendeva a
spirale lungo il muro di un condotto cilindrico che scendeva nelle profondità
della terra. Ovunque macchie di sangue, scheggiature, impronte insanguinate si
erano impresse nel legno. Fango, brandelli di stoffa, sputi... Dovunque stesse
andando, quel luogo era stato l'ultima dimora di molte persone. Le grida si
fecero più flebili.
'Il laboratorio...trova il laboratorio...'
Scomparvero. Era sollevata che avessero smesso, ma era anche grata loro per
averle indicato la strada; per quanto sconvolgente non bisogna mai mancare di
apprezzare un aiuto. Scese titubante quella lunga spirale di legno macchiato, e
un paio di volte rischiò persino di cadere da basso. La paura le aveva chiuso lo
stomaco, l'orrore le faceva salire la nausea fino in bocca. Un fetore di morte
rinchiusa per troppo tempo appestava l'aria, di sangue rappreso e marcio, di
vomito. Odore di sofferenza... Poi finalmente arrivò alla fine della scala, e
davanti le si parò un lungo corridoio dal pavimento sterrato e le pareti di
roccia. Si mise a camminare, e dopo molto finalmente giunse ad un gigantesca
porta blindata.
'Dr.Hojo - Archivi, dossier, fascicoli - Sezione esperimenti e ricerca -
Laboratori- Vietato l'ingresso ai non autorizzati'
Qui giace la verità troppo a lungo dimenticata, pensò, qui la giace la
sofferenza e la disumana crudeltà. Accanto alla porta un circuito elettrico
sventrato segnalava la passata presenza di un congegno elettronico di apertura,
alcuni tasti pendevano inerti da fili di rame mezzi scoperti. Non poteva
entrare. Ma, ecco che, accanto a quello, ce n'era un altro, con sopra una
targhetta. 'Nuovo e unico dispositivo funzionante'. Forse aveva ancora qualche
speranza! Si mise a guardarsi intorno se per caso ci fossero dei posti in cui si
poteva nascondere una chiave magnetica, un tesserino, un riconoscimento
elettronico, ma dopo un po', dandosi per vinta, si appoggiò pesantemente al muro
di fredda roccia, ma non appena vi si fu poggiata contro questo si spostò
all'indietro, facendola cadere malamente. Una stanza segreta! Si alzò, si
spolverò i vestiti, e rimase scioccata dall'arredamento atipico della stanza:
bare. Ovunque, buttate come pupazzi sgualciti, alla bell'e meglio in ogni
angolo. E una, una sola, al centro, su un piano rialzato di mattoni. Si avvicinò
titubante, il cuore che batteva all'impazzata, e posò una mano sul coperchio.
Rimase ferma così per qualche minuto, non sapeva che fare. Il suo istinto le
diceva di guardare dentro, ma il suo buon senso le diceva di lasciar perdere. La
mano tremava, ma lentamente si mosse fino al bordo del coperchio, infilò le dita
nel sottile vuoto che correva tra questo e il bordo della bara, e lo spostò
delicatamente, scoprendolo più leggerlo di quanto di fosse aspettata. Nonostante
ciò non fu facile riporlo a terra, ma quando l'ebbe fatto gettò uno sguardo
spaventato al suo occupante, e si immobilizzò, la bocca semiaperta, stupita,
affascinata. Si mise una mano sul viso, arrossì: dentro quella bara dormiva un
uomo, un uomo dal viso giovane, e l'espressione tranquilla. Accostò la bara con
passi titubanti, avvicinò il suo viso a quello di lui, incantata. Allungò piano
due dita, gli tolse una ciocca di capelli neri e ribelli dal viso pallido e
sereno. Ma non ebbe tempo di ritrarre la mano che una stretta d'acciaio le
strinse il polso: la mano di lui. I suoi occhi si aprirono, e lei lanciò un
grido. Non riusciva nemmeno a cercare di divincolarsi.
Lui la squadrò un attimo, gli occhi presero un espressione scioccata e
nostalgica.
-Lu...Lucrecia?-
-N-no....Io mi chiamo Aeris-
-Aeris...-
I loro sguardi si incrociarono per un lungo istante. Aeris lo osservava. Il
volto calmo, le labbra semiaperte, lo sguardo penetrante dritto nei suoi occhi.
Erano molto vicini.
Riusciva a sentire il suo respiro sul viso. Lui le teneva appena il polso, e le
mani scivolarono una nell'altra. Avvicinò il suo viso a quello di lui, chiuse
gli occhi. Le loro labbra si incontrarono per un lungo momento, le mani si
strinsero. La pelle dei loro visi, i respiri... Si lasciarono lentamente,
indugiando come la rugiada al mattino con le labbra che ancora si sfioravano. Si
guardarono, nel silenzio di quei momenti indescrivibili. Non c'erano parole, non
servivano. Lei si allontanò piano, lui uscì dal suo giaciglio poco
convenzionale, e lei si concesse qualche attimo per osservarlo meglio: era altro
e imponente, e l'enorme mantello rosso aumentava se possibile questo effetto. I
capelli neri e lisci, ribelli, gli ricadevano attorno al viso dalla pelle
pallida e i lineamenti perfetti, gli occhi rossi come il sangue, dallo sguardo
profondo, entravano dentro di lei come se fosse stata fatta di vetro. Il sangue
le affluì al viso senza che se ne accorgesse, mentre lo guardava. Poi si accorse
di avere freddo, e prese a strofinarsi le braccia. Istintivamente si mosse verso
di lui e si tuffò nel suo petto. Era così caldo... Lui la strinse piano, le
frizionava le spalle e le braccia per scaldarla, il loro respiro che mandava
bianche nuvolette nell'aria gelida del sotterraneo.
Forse le sarebbe bastato quello, il calore di quell'abbraccio, per trovare
quello che voleva. Il silenzio di quel momento per essere soddisfatta. Ma quella
porta persisteva nei suoi pensieri, non la abbandonava. Doveva sapere... Si
sedettero a terra, su un tappeto polveroso buttato in un angolo, e lì si
addormentò, sentendosi calda e protetta nel suo abbraccio.
Si svegliò su un letto, tra le braccia di lui, che con delicatezza la stringeva
a sé e la teneva al caldo. Aveva ancora il viso affondato nei suoi vestiti. Si
sentiva smarrita, sola, abbandonata e scoraggiata; affondò ancora di più tra le
sue braccia, gli si stringeva contro come un gattino infreddolito, e lui,
sorridendo lievemente, l'abbracciava.
-Io...non so nemmeno come ti chiami- gli disse dopo diversi minuti
-Vincent. Vincent Valentine-
Fu come se avesse preso la scossa.
-Tu!- esclamò, saltando seduta sul letto; lui si appoggiò su un gomito e la
guardò perplesso.
-Tu...sei l'uomo che aiutò mia madre! Lei...si chiamava Lucrecia, non è vero?-
Lui sgranò gli occhi, poi volse lo sguardo altrove con aria colpevole e colma di
dispiacere.
-Tu sai cosa le è successo?-
Lui non rispose. Non la voleva guardare negli occhi. Lei si sentiva fredda e
sola, e tremava. Quello sguardo triste sul suo viso non lo poteva sopportare.
Gli si avvicinò piano, gli accarezzò il collo, e quando lui si volse lo baciò,
con una passione che non avrebbe mai creduto di poter provare. Lui si abbandonò,
ma ad un tratto la allontanò.
-Io so cosa è successo a tua madre. E se sei qui per saperlo te lo dirò. Ma
prima ti chiedo perdono-
-Per cosa?-
-Io...non sono riuscito a salvarla-
Lei scosse la testa -Sono sicura che hai fatto tutto quello che hai potuto, e
probabilmente anche molto di più. Non mi chiedere perdono per nulla, con me non
ti devi scusare-
Lui annuì leggermente, sorridendole.
Poi lei gli chiese della porta, e si misero a parlare del contenuto di quella
stanza, dei diari, e di come entrare. Da qualche parte nella casa era nascosto
un tesserino che l'avrebbe aperta, ma Vincent non aveva idea di dove fosse, così
dovettero mettersi a cercarlo. Aeris si sentiva così felice, le sembrava di aver
trovato il senso della sua vita. Lui era...qualcosa che superava qualunque
sensazione avesse mai provato prima. Eppure, si sorprese a riflettere, lui
doveva aver conosciuto sua madre, e a quell'epoca doveva essere già un adulto...
Chissà quanti anni aveva. Non che davvero le importasse. Anche lei era una
persona speciale, quindi non le interessava. E mentre camminava canticchiava e
si muoveva con allegria.
Quella vista gli riscaldava il cuore. Aveva creduto che Lucrecia si fosse
portata la sua umanità nella tomba, e invece lei... Che gli importava che fosse
la figlia di Lucrecia? Le avrebbe insegnato la strada e sarebbe rimasto sempre
con lei, per proteggerla fin quando avesse avuto respiro. Non l'avrebbe
abbandonata. Aveva trovato un motivo per cui valeva la pena vivere, cosa che
nelle sue condizioni non era certo facile. Era così dolce e indifesa, così
bella... In più era l'ultima della sua razza. Se il destino aveva deciso così,
l'avrebbe protetta lungo la strada per la salvezza del pianeta.
-Eccola!- gli urlò da un angolo sporco e polveroso, fuori vista
-Dove sei?-
-Qui!- si alzò e gli fece cenno con la mano, lui la raggiunse; lei sventolava la
carta magnetica in mano, tra indice e medio della mano sinistra, con in volto un
caldo sorriso.
-Andiamo-
Lui la condusse di sotto, fino alla porta. Dovettero inserire la tessera più
volte prima che il meccanismo riprendesse a funzionare, ma alla fine riuscirono
ad entrare.
Un bailamme di fogli, fascicoli, bloc notes, carte, schede, progetti,
alambicchi, pezzi di ricambio arredava la stanza, i cui muri erano coperti di
librerie piene di libri, fogli e diari. Più dietro alcuni macchinari impolverati
svettavano nella loro lucentezza metallica, e porte automatiche ormai chiuse o
aperte per sempre segnalavano l'accesso ad altri locali.
Aeris stava lì, a bocca aperta, ad osservare; Vincent invece aveva distolto lo
sguardo, e si mordeva un labbro, nervoso.
-Mio dio- esclamò lei -Ma qui ce n'è per secoli!- si diresse verso le librerie,
ma prima che potesse arrivare a leggere i nomi sulle scansie cominciarono i
sussurri. Le sibilavano nelle orecchie come tanti serpenti, con voci pietose.
'Gli Antichi... noi siamo i Cetra...I diari sui Cetra...'
Si estinsero come erano cominciati, e lei prese a cercare tra le scansie, mentre
non si accorgeva che Vincent, più in là, non riusciva nemmeno a muoversi. Poi la
vide, una targa di metallo su una scansia.
'Esperimenti sui Cetra - Progetto Guerrrero Perfetto - Lucrecia - Gene vampirico'
Due volumi attirarono la sua attenzione, dal titolo sul dorso: 'Lucrecia, ultima
Cetra - Gene Vampirico' e 'Esperimenti sui Cetra, progetti 1-8'
-Vincent, vieni- lo chiamò; lui non rispose. Si volse a guardarlo, ed era fermo
lì in mezzo alla stanza, che si mordeva un labbro a sangue, a testa china, e
piangeva. Lei gli corse accanto, cercò di abbracciarlo, ma lui la allontanò. Un
voce prese a suonarle nella mente, la voce di lui, di molto tempo prima.
'Chiudimi qui sotto insieme con le mie disumane origini'
Lei si coprì la bocca con le mani, ma non disse nulla. Le lacrime le scesero sul
viso, e quando lui se ne accorse, la guardò, chiedendole perché con gli occhi
tristi.
-Tu...Hojo...ti ha fatto questo? Perché hai aiutato la mamma?- si asciugò la
lacrime, gli sorrise timidamente -Leggiamolo insieme; voglio che sia la tua voce
a raccontarmi la verità-
-Sei sicura che ti piacerebbe conoscerla?-
-Di certo non mi piacerà, ma almeno lo saprò-
-Va bene-
-Con te non sono mai sola- gli si gettò contro, si abbracciarono, e si sedettero
a terra, le spalle di lui appoggiate al muro, lei rannicchiata contro il suo
petto, che lo ascoltava leggere come una bambina a cui la madre legge una
favola.
"Oggi siamo finalmente riusciti a catturare l'ultima Cetra, di nome Lucrecia. A
quanto pare una caratteristica peculiare dei Cetra è l'avvenenza. Comunque sia,
l'ho portata in laboratorio. Non si direbbe mai, ma l'abbiamo catturata insieme
al Turk numero 27, Vincent Valentine, incinta di suo figlio. Io stesso non ci
credevo. Useremo il bambino per creare il guerriero perfetto. Non mi riesce
nemmeno di pensarci, un guerriero perfetto! Sarà l'evoluzione della specie! E
grazie al DNA di Jenova e ai Cetra finalmente sono a un passo dal riuscirci! Ah,
se solo potessi rimanere per assistere ai risultati a lungo termine! I SOLDIER
diventeranno imbattibili! Di fatto, abbiamo intenzione di irradiarla con energia
Mako per aver modo di modificare geneticamente il feto che porta in grembo. Per
quanto riguarda gli altri Cetra, invece, gli esperimenti sono stati un
fallimento: una volta irradiati con il Mako non hanno fatto altro che
trasformarsi in creature mostruose, uno dopo l'altro. Fallimento su tutta la
linea. Ma stavolta sono sicuro di esserci quasi. Il figlio del soggetto n°257,
Lucrecia 'Crescent', sarà finalmente il premio per tutto il denaro e la fatica
che ho messo in questo progetto. Ciononostante non siamo stati in grado di
risalire alla fonte dei poteri dei Cetra, e, purtroppo, il n°257 è l'ultimo
esemplare della specie. Mi serve per altri scopi. Stiamo preparando i macchinari
per la realizzazione del progetto 'Guerriero perfetto', ma ci vorranno
settimane, forse mesi. Nel frattempo ho fatto rinchiudere Valentine nei
sotterranei. Sarà interessante osservare la sua reazione quando vedrà cosa
voglio fare a suo figlio e alla donna che ama e non potrà fare niente per
impedirmelo. Sarà decisamente interessante.
[...]
Oggi ho fatto dare la prima radiazione al feto del soggetto n°257, e ho
iniettato il composto genetico nell'utero. Spero solo di essere arrivato ancora
in tempo, se la ricombinazione dovesse fallire perderemmo madre e figlio, e
questo non deve accadere.
Quando ho mostrato la scena a Valentine, ha cercato di uccidermi. Devo ammettere
che quei due colpi che mi ha sparato mi hanno provocato dolore, ma mi aspettavo
una reazione simile. Comunque non credo sia più il caso di lasciarlo perdere
come se niente fosse. È un soggetto troppo interessante, con enormi capacità,
non posso certo lasciarlo a marcire in cella. Credo che lo destinerò al progetto
di gene vampirico, in fine dei conti mi hanno tolto le cavie da almeno tre anni.
Sì, credo sia l'idea migliore. Mi sembra un individuo idoneo. Ma sarò necessario
prendere molte precauzioni, non sarà certo lieto di dare il proprio corpo alla
scienza. Comunque sia lo farò collaborare con le buone o con le cattive, non
posso farmi sfuggire una simile occasione; immagino che nemmeno il presidente
avrà di ridire. Se riuscissi a creare un simile individuo con il gene vampirico
sarebbe la scoperta del secolo! Tutte le capacità sovrannaturali del vampiro
leggendario, del tutto prive di debolezze, annullate dal gene umano. Davvero la
scoperta del secolo. In questo momento con tutta probabilità lo stanno
sottoponendo a radiazione Mako, dopo avergli iniettato un siero per immunizzarlo
dai danni del Mako, che ho estratto dal corpo di Jenova (si veda 'Progetto
Jenova', vol.1). È incredibile, ma sembra che funzioni! Non posso certo
permettermi di perdere una cavia così preziosa.
[...]
Oggi il soggetto n°257 è deceduto, per emorragia interna post partum, dopo
diverse ore di coma. Il bambino è sopravvissuto, ed è bene in salute, per quanto
sia alquanto al di sopra della media in peso e lunghezza, e abbia i capelli
bianchi e gli occhi color Mako. Stiamo effettuando misurazioni e rilevamenti, ma
ad ogni modo il bambino sembra comportarsi normalmente e rispondere bene agli
stimoli. Per quanto riguarda la cavia 4 per il progetto 'Gene Vampirico' si è
svegliata, e, dopo aver assistito alla morte del soggetto 257 ha perso la
ragione. Con solo un brandello di stoffa addosso è andato a seminare distruzione
per l'edificio principale dei laboratori, sterminando soldati e gridando
vendetta. Ho dovuto somministrargli un siero anestetizzante per animali in
quantità molto elevata per evitare che facesse a pezzi tutti i laboratori.
L'esperimento, in cambio, è riuscito perfettamente. E, fino a che il bambino non
sarà adulto, lui è decisamente ciò che più merita di essere chiamato 'guerriero
perfetto'. La sua ferocia è senza pari, la sua potenza ineguagliabile, la sua
agilità elevatissima, e le sue ferite guariscono a velocità record. Devo proprio
ammettere di aver fatto un buon lavoro con lui. Adesso sto aspettando che si
svegli, anche se non penso accadrà presto, data la dose di tranquillante che gli
ho somministrato. Ho intenzione di proporgli un patto, e spero proprio che
accetti, perché abbiamo bisogno di verificare le sue capacità: potrebbe essere
il primo di una lunga serie, non voglio nemmeno rischiare di perdere la minima
occasione per studiarlo."
Vincent tacque, lo sguardo scuro, basso, il viso coperto dai capelli neri, che
le toccavano la fronte. Lei piangeva, nell'immaginare cosa dovevano aver
passato, lui e sua madre, quell'inferno di dolore e solitudine...e morte. Non
era stato in grado di aiutarla, e ne aveva pagato il caro prezzo. Era diventato
un mostro, colmo di disprezzo per sé stesso, e aveva sulle spalle la colpa della
morte di sua madre.
-È troppo crudele...- lui alzò lo sguardo, lei lo guardava con gli occhi colmi
di lacrime, che le scendevano copiose lungo il bel viso, contratto dal dolore e
dal pianto, tutto arrossato -Cosa devi aver passato, che inferno di vita devi
aver vissuto! Dio, come mi sento stupida... Credevo di voler sapere... Tu hai
amato mia madre, e te l'hanno portata via...mentre era incinta di vostro
figlio... La crudeltà umana... davvero non ha limiti, e sembra non averli
nemmeno la sofferenza-
-Non hai nulla da chiedermi?- le chiese lui con un tono non identificabile
Lei scosse la testa -No, perché so che qualunque cosa ci fosse da dire tu me
l'avresti già detta. Non mi interessa chi tu sia, ne quando tu sia nato o cosa
tu abbia fatto. Non mi interessa nulla, se non di averti sempre qui, per
consolarmi e asciugare la mie lacrime-
-E ci sarò. Piangi pure, mia dolce Aeris, e forse le tue lacrime laveranno il
mondo della sua crudeltà-
Lei si mise a singhiozzare con la testa sul suo petto, stretta tra le sue
breccia, e continuò per molto: non riusciva ad accettare una cosa così triste,
così malvagia e spietata. Era troppo per chiunque. Ma questo le metteva sulle
spalle un grande peso: lei, l'ultima della sua stirpe, era la sola rimasta di
coloro che potevano parlare con il pianeta, di coloro che ne sentivano le grida
di agonia. E doveva fare in modo che cessassero, era l'unica a poterlo fare. E
con lui accanto nessuno sarebbe stato mai in grado di fermarla, sarebbe potuta
arrivare in capo al mondo. Rimase lì così, a sentire il suo calore tra i
singhiozzi, a sentirlo respirare. Poi lui allungò una mano sulla sua spalla, e
infilandola sotto la giacca le toccò la pelle con la mano guantata, scostandole
la manica. Lei alzò lo sguardo, gli occhi gonfi e il viso rosso per il troppo
piangere, e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di lui. Gli occhi scarlatti
come il sangue, lo sguardo velato di tristezza, le labbra semiaperte, e la mano
sulla sua pelle. Fremette, si morse un labbro, allungò la mano destra, lo prese
dietro il collo, lo spinse a terra e lo baciò. Il sangue le bruciava nelle vene,
il desiderio la divorava come non avrebbe mai creduto potesse accadere. Lo
sentiva preso allo stesso modo, e guidò la sua mano lungo i fianchi sottili
mentre gli slacciava il mantello, e la fascia rossa cadeva a terra, sciolta. Lui
le sfilò la giacca, e le abbassò le spalline del leggero vestito di seta, le
sciolse i morbidi capelli castani, ma quando le capitò di sfiorare un foglio a
terra accanto a loro si ricordò di dove fossero, e parve rendersene conto anche
lui. Si alzarono e corsero via, fuori, su, di nuovo in casa, sul letto dove si
era svegliata. Sentiva il sangue ribollire, aveva fretta, non poteva resistere.
Lo spinse sul letto. Finalmente lui le tolse il vestito, mentre lei sentiva la
sua pelle sotto le dita, e brividi le percorrevano il corpo, e sentiva come un
fragore nelle orecchie, mentre tremava sotto il tocco di lui, i suoi capelli le
sfioravano la pelle. Si sentiva in paradiso, dimentica di qualunque altra cosa
se non di lui, e dell'estasi di quei momenti, che sapeva non sarebbero durati
per sempre ma che proprio per questo voleva godere appieno.
Erano ancora abbracciati, i corpi a contatto nella fredda aria del mattino, la
cui pallida luce filtrava dalle finestre con i vetri oscurati e frantumati. Lei
si svegliò di soprassalto, tormentata da incubi su sua madre. Si rivestì
rapidamente e si allontanò dalla stanza senza fare il minimo rumore. Si sedette
in un angolo, scioccata, con una mano sulla bocca e ansimando. Cosa aveva
fatto?! Si ricordava fin troppo bene il desiderio che la sera avanti l'aveva
divorata, e tutte quelle sensazioni... Arrossì furiosamente; eppure non se ne
pentiva, non sarebbe tornata indietro per nulla al mondo... La mano di lui sulla
spalla la fece sobbalzare.
-E così mi scappi da sotto il naso mentre dormo? Mi sa che prima o poi ti dovrò
mettere un guinzaglio- le sorrise, per la prima volta davvero; lei lo guardava
come incantata, la luce che lo illuminava da dietro e gli occhi rossi puntati
nei suoi. Si era rivestito a malapena: aveva la camicia aperta e la cintura dei
pantaloni era slacciata.
-Se ti vedessi adesso!- la prese in giro lui, nonostante si sentisse allo stesso
modo -Sembri una bambina-
-Beh, non lo sono. E lo dimostrerò al mondo-
-Hai deciso cosa fare?- le si sedette accanto
Aeris gettò lo sguardo liquido nel suo, gli occhi lucidi e le spalle che già
tremavano.
-I-io....devo trovare Sephiroth...tuo figlio- si gettò tra le sue braccia, e
pregò che quel momento non finisse mai, così che potesse piangere per sempre
stretta a lui in quel modo. Vincent prese ad accarezzarle i capelli sciolti.
-Ti sarò sempre vicino, amore mio- credeva che quelle parole non le avrebbe
pronunciate mai più -Ti proteggerò sempre-
Aeris tacque, smise di piangere e tremare; si alzò in piedi e lo guardò.
-Io, qui, ora, faccio una promessa: che queste siano le ultime lacrime che
verserò prima che tutto questo incubo sia finito. Sarò forte per il pianeta-
Lui le sorrise: -Non permetterò a nessuno di farti del male-
Lei gli sorrise a sua volta, e stavolta anche la sua anima era felice davvero.
-Restami sempre vicino, ho bisogno di te-
-Lo farò-
Si alzò, e si perse nel verde di quegli occhi più profondi del mare. Le
accarezzò piano il viso, e un bacio suggellò il voto di entrambi, in
quell'istante che per un attimo sembrò congelare il tempo stesso attorno ai due
innamorati.
Forse aveva fatto un clamoroso errore ad unirsi agli Avalanche. Certo restare
nel SOLDIER era fuori discussione, ma se non si fosse unito a loro forse non si
sarebbe trovato in quel mare di guai, tanto da dover scappare. Poi dei passi, di
lato, in un vicolo. Due persone... Dal buio e dal fumo emerse una ragazza
vestita di rosa, splendida come poche ne aveva viste nella sua vita, e subito
dietro di lei un uomo dall'aria minacciosa, avvolto in un mantello color del
sangue, che lo guardava con i penetranti occhi rossi fino a scrutargli dentro
l'anima. Ebbe un attimo di esitazione: emanava pericolo come la luce dal sole,
era circondato di minaccia come da uno scudo.
-Scusa, sai dirmi in che direzione è la Shinra?- gli sorrise la ragazza un po'
maliziosa -Piacere, io sono Aeris Gainsborough, e lui è Vincent Valentine- lui
si fece più vicino, con atteggiamento possessivo
-Cloud Strife- additò la direzione da cui era appena arrivato: -Perché ci vuoi
andare?-
Lei estrasse un'asta, lo sguardo infiammato
-C'è qualcuno che deve saldare dei conti, e io sono venuta per riscuotere-
Il giorno in cui morirò, cosa farai? Mi vendicherai, certamente.
Macchiandoti le mani del sangue del tuo stesso figlio pagherai per i peccati di
qualcun altro... e per i miei. I'm so sorry...
FINE